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Cosa cambia per RUP e responsabili di fase

Articolo N.1 –  Lgs 36/2023

Nella riforma del Codice degli Appalti, il D. Lgs 36/2023, il legislatore ha deciso di seguire un’impostazione simile a quella rinvenibile nel codice civile e, se vogliamo, anche nella Carta Costituzionale, vale a dire ha indicato, in apertura, nei primi 11 articoli, quelli che sono i principi fondamentali che governano tutta la materia della contrattualistica pubblica.

Nel farlo, ha stabilito una graduazione degli stessi, evidenziata da quanto disposto dall’art. 4 del codice che sancisce un criterio interpretativo ovvero il legislatore ha chiaramente indicato come, nel dubbio, la soluzione ermeneutica da privilegiare sia quella funzionale a realizzare il risultato amministrativo, che sia coerente con la fiducia nell’amministrazione, nei suoi funzionari e negli operatori economici e che contestualmente favorisca il più ampio accesso al mercato da parte degli operatori economici.

Tutto l’articolato, in sostanza, deve essere letto in chiave finalistica con l’intento di realizzare il principio del risultato (art. 1), il principio della fiducia (art. 2) e il principio dell’accesso al mercato (art. 3).

Con l’introduzione del primo dei principi fondamentali, quello del risultato, il legislatore ha sostanzialmente sottolineato come le stazioni appaltanti e gli enti concedenti abbiano l’onere di perseguire il risultato dell’affidamento del contratto con la massima tempestività, nel rispetto di quel principio, già presente nel nostro ordinamento, dell’obbligo di concludere il procedimento con un provvedimento espresso, in applicazione dell’onere di rispettare il divieto di aggravio del procedimento così come disposto dall’ art. 1 e 2 L. 241/90.

Quanto sopra assicurando il miglior rapporto possibile tra qualità e prezzo, nel rispetto dei principi di economicità, efficacia, ed efficienza dell’azione amministrativa.

Tuttavia il legislatore, nel delineare questo principio, intende rafforzare e, se vogliamo esaltare, la discrezionalità dell’agire amministrativo, in quanto attribuisce a tale criterio il compito di individuare il caso concreto e, soprattutto, ne delimita la portata in relazione alla valutazione della responsabilità del personale che svolge funzioni amministrative nelle fasi di programmazione, progettazione, affidamento ed esecuzione dei contratti.

Da una lettura attenta di tale articolo, emerge, altresì, come non debba essere perseguito un risultato purché sia, ma un risultato virtuoso che accresca la qualità, diminuisca i costi ed aumenti la produttività.

Ultimo elemento il risultato deve essere perseguito nell’interesse della comunità e per il raggiungimento degli obiettivi dell’Unione Europea.

Già questo primo articolo ha evidentemente dei riflessi sulla responsabilità dei funzionari, in quanto il legislatore evidenzia come, se una certa azione arriva al suo scopo, non possa essere oggetto di disappunto, anzi chi l’ha compiuta debba essere premiato.

Il principio del risultato, secondo le intenzioni del legislatore, deve necessariamente essere letto in combinato disposto con il principio della fiducia, disciplinato dall’art. 2.

Con questa norma, il legislatore ha voluto inserire nel nostro ordinamento, accanto alla presunzione di legittimità degli atti amministrativi, anche la presunzione di legittimità dell’azione amministrativa.

In sostanza, il principio della fiducia favorisce e valorizza l’iniziativa e l’autonomia decisionale dei funzionari pubblici, con particolare riferimento alle valutazioni e alle scelte per l’acquisizione e l’esecuzione delle prestazioni secondo il principio del risultato.

L’esercizio del potere discrezionale presuppone fiducia dell’ordinamento verso l’organo destinatario e nei confronti del soggetto agente.
Tale lettura dell’art. 2 si presenta in perfetta sintonia con la nuova formulazione dell’abuso di ufficio (art. 323 c.p. come rivisto in seguito al D.L. 76/2020 convertito nella legge 120/2020).

La vera rivoluzione questa norma l’ha creata nell’aver delineato – in maniera esplicita – quali siano gli elementi identificanti la responsabilità per danno erariale e quali invece ne escludano i presupposti (art. 2 comma 3).

Con tale comma, il legislatore ha voluto specificare come la responsabilità per danno erariale, meglio la colpa grave, presupposto di essa, scatti in caso di violazione di norme di diritto e degli autovincoli amministrativi (direttiva o circolari con buona probabilità) ed in caso di grave imprudenza, imperizia o negligenza.

L’aspetto più innovativo, tuttavia, emerge là ove il legislatore, con coraggio, esclude la colpa grave quando il funzionario abbia costruito i propri atti e governato il procedimento amministrativo seguendo (e dandone atto nella motivazione) indirizzi giurisprudenziali o pareri di autorità competenti (Anac, Mit, Mims etc.)

Tale innovazione è coerente con le vigenti disposizioni del Codice della Giustizia Contabile là ove le norme escludono la colpa grave se la P.A. si è conformata a pareri della Corte dei Conti, resi in via consultiva in sede di controllo, a conferma di una giurisprudenza consolidata sull’elemento soggettivo della responsabilità erariale.

L’importanza del principio della fiducia è dimostrata inoltre anche dal fatto che tale principio innerva il nuovo codice in diverse parti tra le quali, in particolare, è indispensabile citare il nuovo conflitto di interessi (art. 16), là ove si è avuta un’inversione dell’onere della prova, il nuovo soccorso istruttorio (art. 101) là ove è stato inserito quello c.d. correttivo di un errore materiale ed anche, infine, in tutta la disciplina delle esclusioni (art. 94,95 e 98).

Molteplici commentatori hanno, infatti, evidenziato come anche il principio della fiducia abbia naturali conseguenze sotto il profilo della responsabilità dei funzionari che, indubbiamente, vedono emergere in esso il superamento della c.d. burocrazia difensiva in favore di una pubblica amministrazione dinamica ed efficiente.

Tra i principi fondamentali, per completezza, va ricordato anche l’art. 5, il quale sancisce, sempre partendo dall’analisi del rapporto di sostanziale parità tra la P.A. e il privato, il rigoroso rispetto delle norme del codice civile in tema di buona fede e tutela dell’affidamento.

Tale norma, in particolare, integra la questione relativa all’eventuale legittimo affidamento incolpevole insorto nell’operatore privato, con la precisazione che, nel caso di legittima revoca dell’aggiudicazione da parte della P.A., al privato spetti unicamente il ristoro (indennizzo) limitato agli effettivi pregiudizi economici subiti (danno emergente) ma occorre che non vi sia una colpa in capo all’operatore.

Gli artt. 6,7, e 8 si occupano di rendere omogenee le norme in tema di terzo settore e di auto-organizzazione amministrativa inerente alle società partecipate in house. Dalla loro lettura, emerge l’applicazione dei principi di economicità, celerità e perseguimento di interessi strategici sempre alla luce del prioritario principio del risultato.

Norma fondamentale è poi l’art. 3 del codice che innesta nell’ordinamento dei contratti di diritto pubblico, un principio indefettibile del codice civile, rappresentato dal principio di conservazione dell’equilibrio contrattuale.
In particolare, con il nuovo codice, è stato previsto il diritto della parte svantaggiata, in presenza di particolari e ben determinate condizioni, indicate dal legislatore come tassative (eventi straordinari e imprevedibili, non riconducibili alla normale alea, all’ordinaria fluttuazione economica e al rischio di mercato, eventi non causati dalla parte pregiudicata) di rinegoziare il contratto secondo buona fede.

In tale contesto, la responsabilità del RUP ed anche, là ove nominati, dei responsabili di fase, si caratterizza sotto il profilo della necessaria ed idonea verifica della sussistenza dei presupposti di legge che dovranno adeguatamente emergere dalla motivazione degli atti finalizzati appunto ad una rinegoziazione ed al raggiungimento del riequilibrio contrattuale, nel rispetto, ancora una volta, dei principi di economicità, efficacia ed efficienza dell’azione amministrativa.

In ultimo, ma non per questo meno importante, il disposto dell’art. 10, rubricato nei principi di tassatività delle cause di esclusione e di massima partecipazione.

Tale norma rappresenta il concreto sviluppo di un consolidato orientamento giurisprudenziale che è volto ad affermare come le cause di esclusione possano essere solo e soltanto quelle previste dal codice, le quali, se non richiamate espressamente nel bando, integrano di diritto le clausole di quest’ultimo.

Il legislatore, poi, con tale norma, facendo proprio un orientamento giurisprudenziale consolidato, precisa come eventuali altre clausole inserite, non ricadenti nell’area di quanto previsto dagli artt. 94 e 95 del codice, devono considerarsi nulle e, quindi, come non apposte.
In ragione di quanto detto sopra, in tema di responsabilità, la volontà del legislatore è chiara.

La delineazione del nuovo Responsabile Unico di progetto, così come definito dall’art. 15 del medesimo codice, evidenzia, innanzitutto, una concreta unicità della medesima, anche là ove vengano nominati responsabili di fase, in ragione del mantenimento del potere (in capo al RUP) di indirizzo, coordinamento e controllo.

Sempre in tema di responsabilità aggravata dei RUP e dei responsabili di fase, se nominati, va sottolineato come il legislatore richieda una motivazione, per così dire, “aggravata” nelle ipotesi di eventuali ritardi (si pensi alla possibilità di prorogare i termini delle procedure di appalto e concessione, solo in presenza di circostanze eccezionali e imprevedibili di oggettiva difficoltà).

Ciò fa sì che i due principi basilari, rappresentati dall’obbligo di concludere il procedimento con un provvedimento espresso e dal divieto di aggravio del procedimento, siano ormai diventati linee guida essenziali e inviolabili nel nostro ordinamento. Dimostrazione di quanto affermato si ritrova anche nella recente sentenza della Corte dei Conti sez. giurisdizionale per la Toscana n. 278 dell’8 settembre 2023, nella quale si stabilisce come la violazione delle regole sulle gare pubbliche che producono un maggiore esborso per l’Ente locale, unitamente alla condanna penale del dipendente, divida in quattro il danno arrecato alla P.A.

In ragione di ciò, correttamente la Corte, infatti, oltre alle maggiori somme sborsate dall’Ente locale a seguito della irregolarità sulla gara ovvero il c.d. danno alla concorrenza, ritiene risarcibili anche i danni per rottura del rapporto sinallagmatico, i danni causati dal disservizio e, infine, il danno all’immagine procurato all’Ente locale.

E infatti, come sottolinea la Corte, l’elezione di responsabilità amministrativa, che è di competenza esclusiva della Procura della Corte dei Conti, quale organo rappresentativo degli interessi dello Stato-Comunità, pur conservando la tradizionale funzione di perseguire il ripristino dell’alterato equilibrio patrimoniale tra l’Ente pubblico danneggiato e l’autore del fatto illecito, che ha causato la lesione degli interessi della P.A., è venuta ad assumere, nell’attuale ordinamento, anche i ruoli essenziali di strumento di tutela dell’esigenza che le risorse finanziarie e patrimoniali pubbliche vengano utilizzate per il perseguimento, in maniera legittima, economica, efficiente ed efficace, delle finalità istituzionali della P.A.

Tale parametro è da considerarsi raggiunto, secondo le precise indicazioni della Corte, qualora si dia prova del rispetto dei principi fondamentali rappresentati dagli artt. 1, 2 e 3 del nuovo codice.

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